| railen. |
| | Titolo: look in my eyes, you're killing me. Genere: Generale, Sentimentale, Drammatico. Autrice: railen. Rating: Giallo. Capitolo: third chapter ~ Cosa vuoi di più dalla vita? Personaggi: Shannon Leto // Remy (Personaggio inventato) Note dell’autrice: Sono sicura che questo capitolo vi traumatizzerà *w* *EVVIVA* xDDD Scoprire che la dolce Remy è così sbagliata... aaah. Ebbene sì. Va beh, ma mica sarò io a dirvi qualcosa. Leggete e lo scoprirete voi stesse! Mi sa che sto capitolo è un pò lunghino. Mi sono fatta prendere ù.ù *fischietta* PS= Il titolo è total Remy. Se non lo spiego non ha un senso logico, temo. Dovete soffermarvi sulla parola VUOI. Qui Remy è in preda a due tipi di voglie, ecco. Non siate maliziose, leggete e capirete! (si spera) XDDLOOK IN MY EYES you're killing me
Shannon si affrettò verso la reception. Erano appena arrivati a New York. La sera prima avevano tenuto uno show a Boston e quella sera era il momento della Grande Mela. Amava quella città. Era grande, caotica ma spettacolare. Si sentiva a suo agio, perfetto, mentre camminava tra le sue strade. Tomo lo affiancò e gli sorrise. Jared era già sparito e aveva lasciato l’arduo compito del check-in a Emma, mentre lui andava a controllare la location del loro show. Lui e Tomo avrebbero sbrigato rapidamente le cose in albergo e poi lo avrebbero raggiunto per il soundcheck. «Per fortuna domani possiamo riposare!», esordì Tomo con un sospiro. Avevano da poco finito il tour europeo ed era appena iniziato quello americano. Shannon annuì alle parole dell’amico. «Domani ci aspetta un bel giro rigenerante per New York». Poi sarebbero ripartiti alla volta di Washington DC per un altro show. Il receptionist diede loro le chiavi delle suite prenotate. «Spero per te che non sia la stanza 6277». L’uomo si voltò di scatto, abbassando la testa. Incontrò gli occhi verdi della ragazza. La ragazza del bacio. La ragazza del bus. Remy, l’angelo biondo. Osservò il sorriso allegro e beffardo della ragazza, notando anche le profonde occhiaie che aveva sotto agli occhi. Le davano quasi un’aria malata, però era sempre molto carina. Socchiuse gli occhi sospettoso e si voltò completamente verso di lei, dando le spalle a Tomo. «E tu che ci fai qui?», domandò senza nascondere lo scetticismo. La ragazza si strinse nelle spalle. «Prendo una stanza, no?». «E con tutti gli alberghi che ci sono a New York, proprio questo?». «Mi piace trattarmi bene». Fece un secondo di pausa, osservando il bancone di legno come se fosse improvvisamente interessante. «Sai, io non ho un comodo tour bus con brande e molto spazio per girovagare. Ho una specie di macchina e la mia schiena chiede un letto comodo dopo aver dormito per notti intere su un sedile». Lui guardò Tomo che tratteneva a stento le risate. Gli era piaciuta subito, la prima volta che l’aveva vista. Lo avevano colpito il modo in cui si era rivolta a tutti loro e come aveva saputo tenere testa a Jared. E come stava attualmente tenendo testa a Shannon. Il batterista fece un sospiro esasperato. «Ci vediamo dopo, okay? Tra mezz’ora qui nella hall». Il chitarrista annuì. «Okay, non c’è problema». Guardò la ragazza che lo stava fissando con i grandi occhioni spalancati. «E’ stato un piacere rivederti… ehm…». Lei gli venne incontro, porgendogli la mano. «Remy». Tomo sorrise e gliela strinse. « E’ stato un piacere, Remy». «Lo è stato anche per me, Tomo». Sul suo viso fanciullesco si dipinse un sorriso. Il croato si voltò e se ne andò soddisfatto. Lui è l’amico avevano molto da chiarire, ma c’era sempre tempo. Remy lo guardò andare via e poi tornò a Shannon. La stava fissando con le braccia incrociate sopra al bancone. «Che c’è?», chiese portandosi una ciocca dorata dietro l’orecchio. «Sai che potrei denunciarti per Stalking?», disse seriamente lui. La ragazza strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere. L’uomo non ci trovava niente di divertente in quello che aveva appena detto. «No che non puoi!», replicò lei. «E’ più di una settimana che non ci incontriamo. Mi limito a venire ai vostri concerti e nient’altro. Il fatto che ci ritroviamo nello stesso albergo è un caso». Prese la chiave che le porgeva il receptionist e si avviò verso l’ascensore. Shannon la seguì ma solo perché era costretto a doverlo fare. Di certo non avrebbe fatto più di trenta piani a piedi. Rimasero in silenzio, attendendo che l’ascensore arrivasse al piano terra. Quando le porte si spalancarono, salirono insieme. Erano da soli. Remy fissava i numeri dei piani che si illuminavano e prese a canticchiare The Kill dei Thirty Seconds To Mars. Shannon si trattenne dal ridere, lanciandole qualche occhiata curiosa di tanto in tanto. Al ventiseiesimo piano l’ascensore si fermò e Remy varcò le porte che si erano appena aperte. «Allora stasera verrai allo show?». Shannon parlò quasi con indifferenza, fingendosi poco interessato, come se quella fosse una domanda di rito. Lei si fermò e si voltò, con la valigia trolley stretta in mano che grazie alle rotelline di cui era provvista, ruotò insieme a lei. «Certamente!». Il suo viso si illuminò di gioia. Se ne andò e Shannon rimase a sorridere al corridoio vuoto, mentre le porte automatiche si richiudevano. Prima che potessero farlo del tutto, una mano esile le bloccò ed essendo dotate di fotocellula, si riaprirono automaticamente. Remy fece capolino all’improvviso, interrompendo ogni tipo di pensiero che lui stava facendo, cogliendolo di sorpresa. «Ah, Shannon! Vedi di fare un concerto stupendo o pretenderò il rimborso del biglietto! Verrò personalmente a riscuotere, sia chiaro». La sua espressione non lasciava spazio a nessun dubbio. In realtà non aveva nessun bisogno di fare quel tipo di raccomandazioni al batterista, perché dava sempre l’anima sul palco, così come ogni singolo membro della band. Shannon rimase decisamente sorpreso. Scoppiò a ridere, annuendo. «Non c’è pericolo!». Soddisfatta della risposta, Remy lasciò andare la porta che riprese a chiudersi. Lui rimase a fissarla mentre agitava la mano che teneva stretta la chiave della sua stanza, in segno di saluto. Infine scomparve dietro le porte automatiche. Shannon ridacchiò per tutta l’ascesa fino al trentasettesimo piano, dove si trovava la sua suite. Quella ragazza era piena di sorprese.
Remy rabbrividì quando l’aria fresca le sferzò il viso. Non faceva eccessivamente freddo, ma lei aveva l’era glaciale dentro, o qualcosa del genere. Era parecchio freddolosa ma ciò era dovuto alle sue pessime condizioni fisiche. Inspirò per l’ultima volta dalla sigaretta, trattenendo il fumo e lasciando che fluisse ai polmoni. Infine quello che era rimasto in eccesso lo fece uscire dal naso. Schiacciò la sigaretta nel portacenere e rientrò nella camera d’albergo, chiudendo dietro di sé la porta finestra che dava sul balconcino. Aveva atteso fin troppo a lungo, era giunto il momento. Ormai erano passate più di due ore dalla fine del concerto. Ovviamente era stato fantastico, nulla da dire sull’esibizione. Non era rimasta ad aspettare la band, probabilmente Jared si sarebbe incazzato con Shannon se l’avesse vista, quindi aveva lasciato perdere. Era tornata in albergo e si era fatta una doccia per togliersi il sudore di dosso. Poi aveva fatto avanti e indietro dalla stanza al balcone, continuando a fumare. I capelli si erano asciugati da soli e li aveva legati in una coda alta. Aveva aspettato, atteso… Le piaceva tirare per le lunghe, sfidando sé stessa. Poteva resistere ancora, volendo poteva smettere… Ma il punto era che non voleva. Osservò la stanza d’albergo. Aveva colori chiari e le uniche luci accese erano quelle delle lampade, che davano un’aria romantica e soffusa al posto. C’erano un grosso divano bianco e un televisore al plasma, un bel tappeto lavorato, un tavolo lungo con sei sedie… a chi servissero tutte quelle sedie non si sapeva. Adiacenti si trovavano la camera, con un letto enorme e anche lì un grande televisore al plasma e una piccola scrivania. La vetrata era grande e dava uno spettacolare panorama su New York. Individuò vicino al divano lo zaino che aveva portato al concerto e andò a prenderlo. Aprì la tasca inferiore e afferrò ciò che le serviva, un piccolo astuccio giallo. Decisamente innocuo, se visto dall’esterno. Entrò in bagno, aveva bisogno di luce. Era grande e bianco, con una bella vasca idromassaggio e una doccia. Magari prima di lasciare l’albergo avrebbe utilizzato la vasca, giusto per rilassarsi. Aprì la cerniera dell’astuccio e lo rovesciò, lasciando che tutto il contenuto cadesse sul ripiano del lavandino. La siringa brillava minacciosa, soprattutto l’ago. La carta stagnola che conteneva l’eroina emanava bagliori inquietanti. Il cucchiaino su cui scaldava la roba era annerito dal fuoco. Il laccio emostatico era pronto all’uso. Il limone era quasi finito ma al momento se lo sarebbe fatto bastare. Dopo il concerto era andata alla ricerca di uno spacciatore. Non era difficile trovarne vicino al luogo di un concerto e di solito tra compratore e venditore ci si riconosceva immediatamente. Non poteva permettersi di importare la roba in giro per il paese con il rischio di finire in manette, perciò comprava direttamente sul posto. Accese anche la luce dello specchio e si legò il braccio, aiutandosi a stringere il nodo con i denti. Le sue vene erano quasi invisibili e le era difficile riuscire a far rifluire un po’ di sangue nella siringa al primo colpo. Se le andava bene poteva infilzarsi il braccio solo tre volte, ma quando non riusciva a farlo diventata quasi isterica. Solo quando faceva centro e l’eroina entrava in circolo riusciva a rilassarsi. Avrebbe potuto continuare a bucarsi nello stesso posto ma era poco consigliato. Non solo c’era il rischio di trombosi, ma dopo aver visto il film Requiem For A Dream con Jared Leto, aveva una fottuta paura di fare quella fine. Perciò preferiva infilzarsi una decina di volte piuttosto che farsi amputare il braccio. Respirò lentamente e chiuse gli occhi, ripetendosi il proprio mantra pre puntura. Stai calma, andrà tutto bene. Se non ci riesci una volta, ci riuscirai una seconda, si disse mentalmente. O comunque sia ci riuscirai. Devi solo stare calma e attendere. Aprì la carta stagnola, osservando la polverina bianca. E proprio in quel momento bussarono alla porta. In preda al panico richiuse il pacchettino di stagnola e si slegò il braccio, mettendo tutto all’interno dell’astuccio. Era paranoica, o meglio, tutti i drogati lo erano. Poteva benissimo essere una retata, o qualcuno aveva scoperto cosa faceva e aveva chiamato la polizia. Le serviva un posto dove nascondere l’eroina, un posto dove nessuno avrebbe cercato. Escluse immediatamente il proprio zaino e la valigia, sarebbero stati i primi posti. All’improvviso le venne in mente il posto ideale. Si fiondò di nuovo sul balconcino e scavò nella terra dell’unica pianta messa ad allietare quel posto. L’astuccio non era molto grande, perciò lo infilò nel buco e rimise la terra al suo posto, come se non fosse stata toccata. Bussarono di nuovo. «Arrivo!», urlò in direzione della porta, tornando in bagno per lavarsi le mani sporche. Osservò la propria figura allo specchio. Per fortuna non era ancora dipendente fisicamente dall’eroina, perciò non aveva crisi di astinenza. Aveva solo una grandissima voglia di bucarsi quel fottutissimo braccio. Si lavò anche la faccia arrossata e andò ad aprire. Fece un respiro profondo e abbassò la maniglia, aprendo la porta. Shannon era davanti a lei, con il braccio alzato a mezz’aria, il pugno chiuso, pronto a bussare ancora. «Ehi», disse con un sorriso, abbassando la mano. Remy lo fissò a lungo, scrutandolo da capo a piedi. Si era cambiato e probabilmente si era fatto una doccia, perché aveva ancora i capelli leggermente umidi. Indossava un paio di jeans strappati e una delle sue adorate canottiere larghe, dove avrebbero potuto infilarsi tutti gli Echelon del mondo e stare lì comodamente. In confronto a lui, lei era sciatta con i pantaloni della tuta e una maglietta bianca bucherellata sul fondo. «Che ci fai qui?», domandò la ragazza, tenendo una mano sulla porta. «Ho anticipato ogni tua possibile mossa». Si strinse nelle spalle. «Mi fai entrare o devo rimanere qui ancora per molto?». Quella domanda poteva sembrare arrogante se non fosse stata posta con un tono simpatico e quel sorriso mozzafiato. Remy si fece da parte e lasciò che Shannon varcasse la soglia. «Permesso…». Lui scivolò all’interno, guardandosi in giro. La ragazza si richiuse la porta alle spalle e lo seguì. «Accomodati pure. Vuoi qualcosa da bere?». Il batterista si guardava in giro estasiato, come se non avesse mai visto una stanza d’albergo. Stava in mezzo al tappeto e girava su sé stesso. «Wow! Cavolo, è quasi più bella della mia suite!», disse, per poi voltarsi verso di lei. «Dell’acqua naturale andrà benissimo, grazie». Lo lasciò lì in mezzo al tappeto e andò al frigo bar che aveva in camera. Guardò dentro e prese una bottiglietta d’acqua naturale. Quando tornò in salotto, Shannon si era già svaccato sul divano e aveva acceso la tv. Ridacchiò e lo raggiunse, buttandosi al suo fianco. «No, ma tranquillo eh! Fai pure come se fossi a casa tua». Gli lanciò la bottiglietta che lo colpì nello stomaco. Shannon si piegò, tossendo esageratamente. Svitò il tappo della bottiglietta, accostandola alle labbra. «Sapevo che saresti stata così gentile da dirmelo», e bevve un sorso d’acqua. Remy sospirò e incrociò le gambe sopra al divano, appoggiando le mani sulle ginocchia. La sua concentrazione si focalizzò sul pomo d’Adamo che andava su e giù mentre l’acqua scendeva lungo la sua gola. «Seriamente, cosa ci fai qui?». «Ti è piaciuto lo show?». Remy sbatté le ciglia, sorpresa. Forse avrebbe dovuto mentire giusto per rendergli la vita difficile, ma decise di dire la verità. «E’ stato stupendo, come sempre». Shannon ridacchiò, spostando gli occhi sulla TV che mandava un video musicale di Lady Gaga. «Ti ho vista, in prima fila. Eri davanti a me». Gli scoccò un’occhiata maliziosa. «Eri in adorazione». La ragazza arrossì, evitando il suo sguardo. «Ti sei divertito immagino». Sto stronzo. Era andato lì per prenderla in giro e metterla in imbarazzo? Bene, ci era riuscito! Shannon rise. «Dai, stavo scherzando». Le tirò la coda. «Stai bene con i capelli legati. Ti fanno più alta». Remy lo guardo, sorridendo cattiva. «Dovresti fartela anche tu». «DOH!». L’uomo si colpì lo stomaco con la bottiglietta, fingendo di accoltellarsi, scatenando nella ragazza una risata senza fine. «Colpito e affondato». Si accasciò sul divano, con la lingua penzoloni. Remy scosse la testa e gli rubò la bottiglietta, infilzandolo ancora. Risero, sfottendosi senza sosta. La scarsa altezza di entrambi era ciò che più veniva presa di mira. Shannon decise di tacere quando Remy gli fece notare che lei era una donna e che essere basse andava bene. Lui era uomo ed era nano. Quello non era naturale. Shannon mise un leggero broncio. «Eddai, non fare così». La ragazza lo tirò per la canotta, sfarfallando le ciglia. L’uomo la fissò. Aveva un aspetto ingenuo, carino… era bellina e aveva un viso veramente giovane. Socchiuse gli occhi, sospettoso. Si umettò le labbra. «Posso farti una domanda? So che queste cose di solito non si chiedono alle donne, ma…». Lei si preoccupò. Che cosa voleva chiederle di tanto strano? Annuì indecisa. «Tu chiedi, poi non è detto che ti risponda». Shannon alzò gli occhi al cielo. «Ah beh, tante grazie». Tornò a lei. «Quanti anni hai?». La ragazza trattenne un sospiro di sollievo. «Ventitré, perché?». Shannon la guardò. Le prese il mento tra le dita e Remy sentì una corrente elettrica passarle nel corpo, ma lasciò che Shannon la guardasse spostando il suo viso da un profilo all’altro. «Credevo fossi più giovane. Se dovessi provarci con te almeno non rischio la galera». Per poco lei non cadde dal divano. Ma di che diamine parlava? Quel tipo di cose non dovevano essere dette con tale leggerezza. Sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Ah beh, sono molto felice per te». Shannon scosse la testa e rise, alzandosi dal divano. Le porse la mano e lei lo guardò confusa. Lui indicò il balconcino. «Ho voglia di fumare, mi fai compagnia?». Gli afferrò la mano e si alzò in piedi, lasciandogliela andare subito dopo. Fece strada verso la porta finestra, l’aprì ed uscì sul balcone. Guardò verso la pianta dove aveva nascosto l’astuccio, per controllare che tutto fosse in ordine. Nessuno avrebbe notato il terriccio era stato mosso. E comunque sia, Shannon non era un poliziotto o qualcosa di simile. Probabilmente non aveva neanche idea di star parlando con un’eroinomane. L’uomo era dietro di lei. Si spostò, appoggiandosi alla ringhiera. Si portò la sigaretta alle labbra e l’accese, aspirando. Poco dopo lasciò uscire una spessa nuvola di fumo dalle labbra. Remy si incantò a guardare la forma a cuore del labbro superiore. Era come se fosse ipnotizzata, almeno finché Shannon non le sventolò un’altra sigaretta davanti al viso. «Quella che mi hai offerto qualche giorno fa». La ragazza annuì e la prese, infilandosela in bocca. Ora che la sua dose era momentaneamente rimandata, il suo corpo sentiva il bisogno di nicotina. Con qualcosa doveva pur intossicarsi. Shannon si protese verso di lei e le accese la sigaretta. Remy lo imitò, appoggiando le braccia sulla ringhiera e guardando il panorama di New York. Il silenzio venne interrotto subito dopo da lui. «Posso chiederti qualcosa su chi sei e cosa fai o è proibito?». «La risposta è sempre quella di prima: puoi ma non avrai sempre una risposta, probabilmente». Lui sbuffò, gettando fuori un’altra nuvola di fumo. Di certo quella risposta non lo faceva desistere. «Non so, volevo sapere qualcosa in generale: da dove vieni, se hai fratelli e sorelle, perché hai deciso di seguirci in tour…». Remy sorrise. Doveva solo evitare di parlare troppo. «Vengo da St. Louis, in Missouri. Tutto ciò che rimane della mia famiglia è mia madre, mio padre e mio fratello maggiore sono morti». Shannon si pentì subito di aver posto quella domanda. «Mi dispiace molto». Lei scrollò le spalle. Non poteva dirgli che a differenza sua non era affatto dispiaciuta. E ne aveva tutti i motivi. E che in realtà suo padre e suo fratello erano vivi e vegeti, purtroppo. Erano morti per lei. Li aveva letteralmente cancellati dalla sua vita e avrebbe fatto volentieri lo stesso con sua madre. «E’ tutto apposto, non preoccuparti». L’uomo non era dello stesso parere, ma scrollò le spalle. Rimase a fissarla, mentre lo sguardo di lei si perdeva nel buio della notte. «E perché ci segui?». Remy tornò a prestare attenzione a Shannon. Lo guardò inizialmente titubante, ma poi nei suoi occhi trasparì la dolcezza. «Beh… Ti sembrerà strano, ma voi mi avete dato la speranza. Mi avete fatto credere in qualcosa e ancor meglio, in qualcuno». Amava la loro musica, amava loro. Amava quei tre pazzi e conoscerli meglio attraverso le interviste le aveva fatto desiderare di poterli incontrare di persona. «E poi ho una piccola missione», continuò fumando. Shannon ascoltava con attenzione. «Che missione?». «Ah no, non te lo dico!». «E dai, su! Che ti costa?». Le diede una spintarella. Remy scosse la testa e incrociò le braccia, sfregandosele. Quel maledetto freddo che le entrava dentro fino alle ossa. Prima o poi l’avrebbe uccisa. «Non posso. Hai presente i desideri? Li esprimi e non devi dirli a nessuno perché sennò non si avverano». Lo guardò con un sorrisino. «Ecco, diciamo che ho adottato la stessa tecnica». Si sfregò di nuovo le braccia, cercando di nascondere il viso al vento. L’uomo era sospreso. Non aveva parole per una dichiarazione d’amore di quel tipo. Cosa dava così tanta speranza e fiducia a quella ragazza verso i componenti della band? L’unica cosa che avrebbe potuto dire era un misero “grazie” ma non gli sembrava adeguato. «Hai freddo?», le chiese invece, mentre la guardava sfregarsi le braccia e rintanarsi su sé stessa. «Un po’», ammise lei, annuendo. «Scherzi vero?». Indicò la propria canotta e poi la sua magliettina a maniche lunghe. «Si sta bene». Remy gli lanciò un’occhiataccia. «Tu sei tutto muscoli, ti proteggono. Io non ho niente». Non aveva muscoli, non aveva ciccia. Non aveva niente. Pesava così poco che si domandava perché non volasse via. L’eroina aveva rovinato completamente il suo fisico. Le uniche curve che aveva erano quelle del seno, che era anche poco. Shannon le posò una mano sulla spalla e la strinse a sé, spegnendo poi la sigaretta. Remy si ritrovò ad affondare il viso nel suo petto e fece fatica perfino ad alzare lo sguardo. «Se è un tentativo di provarci, sappi che questi quarant’anni non ti hanno insegnato niente», sussurrò lei, perdendosi nel suo profumo squisito. Teneva le mani strette al proprio corpo, conficcando le dita nelle costole per evitare di abbracciarlo. L’uomo le sfregò il braccio su cui aveva appoggiato la mano. «Non sono mai stato un ragazzino timido che fingeva di sbadigliare per abbracciare la ragazza che aveva accanto», mormorò guardandola divertito. «Stavo tentando di scaldarti». Allora Remy si lasciò andare. Gli circondò la vita con le braccia e le mani gli strinsero la canotta. Chiuse un momento gli occhi, sfregando il viso sul suo petto. «Allora stai facendo un ottimo lavoro». Shannon ridacchiò e per un po’ rimasero in silenzio, in quell’abbraccio. Guardavano New York davanti a loro. Passarono due minuti buoni prima che lui parlasse. «Credo sia ora di andare. Sarai sicuramente stanca e lo sono anch’io». Remy sciolse l’abbraccio e Shannon scostò la propria mano dalla sua spalla. «Oh, certo». Lei non era stanca, aveva ancora da fare in realtà. E ora che Shannon stava per andarsene, la voglia di sentire la droga circolare nel suo corpo tornò prepotente. «E’ meglio che tu vada, almeno domani puoi riposare un po’ visto che non avete concerti». Rientrò con un sospiro di sollievo. Si era trovata bene nell’abbraccio di Shannon che l’aveva veramente scaldata. A differenza sua, lui era molto caldo. «A proposito di domani…», iniziò l’uomo, seguendola all’interno della stanza e chiudendo la porta finestra. «Stavo pensando di andare a farmi un giro per New York. Ti va di venire con me?». Lei si voltò, un sopracciglio inarcato. Infilò le mani in tasca, inclinando la testa di lato. «Dici sul serio?». «No, per finta». Shannon sospirò. «Mi farebbe piacere». Lei non credeva alle sue orecchie. «Uhm. Okay. E dove andiamo? Non sono mai stata a New York». Shannon strabuzzò gli occhi, alzando le mani a indicare il panorama lì fuori. «Mai?». La ragazza scosse la testa e lui parve ancora più incredulo. Sorrise appena, scrollando le spalle. «Vedrai, ti piacerà. E’ una città magnifica, ti fa sentire importante. Non c’è un posto che ti piacerebbe visitare?». La ragazza si strinse nelle spalle e roteò gli occhi nella stanza, pensierosa. «Central Park?». Shannon fu d’accordo. «Affare fatto». Si diresse verso la porta seguito da lei. L’aprì e si fermò sulla soglia. Si voltò a guardarla, pensieroso. Lei era a disagio sotto quello sguardo magnetico. «Cosa c’è?». Shannon si protese verso di lei, malizioso. «Ho dimenticato di darti una cosa…». Le alzò il viso con l’indice e posò le labbra sulle sue. Remy quasi non reagì. Le mani erano ancora in tasca ed era troppo sorpresa per portarle al viso di lui. Tutto ciò che faceva era seguire il movimento delle labbra dell’uomo. Infine lui si allontanò, guardandola incuriosito. «A cosa devo questo bacio?», chiese lei con un filo di voce. Le farfalle volavano nel suo stomaco e il cuore le era letteralmente impazzito. Shannon assunse un’espressione angelica. «Mi stavo riprendendo il bacio che mi hai rubato qualche giorno fa». Remy ridacchiò e finalmente tolse le mani dalle tasche, andando a prendere la sua che ancora le teneva su il mento. «Mi sembra giusto». «E non è finita qui». L’uomo la baciò di nuova, questa volta aggiungendo la lingua. Le leccò il labbro inferiore, assaggiando quel sapore dolce. Remy trovava che le labbra dell’uomo fossero soffici e leggermente umide, perfette. Dischiuse le labbra, lasciando che la lingua entrasse nella sua bocca. Le loro lingue vorticavano e Shannon andò ad accarezzarle la nuca. Le mani della ragazza trovarono il suo viso e lo tennero stretto, come se non volesse interrompere quel bacio. Infatti fu Shannon ad allontanarsi per primo. Nei suoi occhi si era accesa una scintilla di eccitazione. Si scostò un po’, ma Remy non abbandonò la presa sul suo volto. «E questo invece cosa significa?». La ragazza aveva le guance arrossate. Chissà se l’uomo poteva sentire il cuore batterle furioso nel petto. Shannon sorrise, mostrandole una fila di denti bianchi. Le accarezzò lo zigomo, scendendo poi sul collo. «Era il bacio della buonanotte». La ragazza rise, scuotendo la testa. «Non sapevo che ci andasse anche la lingua». Lui fece una smorfia. «E’ un nuovo metodo e devo dire che ha funzionato». Remy gli tirò un leggero pugno sulla spalla, lasciando così andare il suo viso. Non sentire più la sua barba sotto ai polpastrelli bruciava terribilmente. Il batterista rise e la salutò con un cenno della mano. «Ci vediamo domani, allora. Buonanotte e sogni d’oro». Si congedò con un rapido saluto, umettandosi le labbra. Sentiva ancora il sapore di lei. Remy lo osservò andarsene, finché non sparì nell’ascensore. Si richiuse la porta alle spalle. Era contenta. Felice che fosse arrivato e l’avesse fermata. Aveva potuto assaporare il suo sapore e le sue labbra senza l’eccitazione provocata dall’eroina. Quel pensiero però la riportò alla realtà. Doveva dissotterrare il suo astuccio e completare quello che stava iniziando prima che arrivasse l’uomo. Shannon fu momentaneamente dimenticato. Al suo posto, i pensieri di Remy furono completamente occupati da quella polverina bianca che stava per intossicare il suo corpo ancora una volta.
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